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S. Mallarmé

Mallarme and Baudelaire, divisi nel modus vivendi, uniti dal pathos poetico. Si respirava ancora l’aria roussoniana secondo natura, si intendeva vivere allo stato selvaggio dove la natura era divenuta per l’animo sensibile, eletto, del poeta, l’unico rifugio sicuro da tutte le iniquità, proprie della bassezza e della superficialità umana. Dappertutto l’aria era pregna di naturalismo, e la natura stessa aveva cessato di rappresentare un mero modo di espressione statica, divenendo, un vero e proprio campo di ricerca poetica, laddove l’uomo e la natura, strettamente connaturati, rasentavano una perfetta osmosi.

Era l’epoca dei poeti maledetti, così come amava definirli e definirsi lo stesso Verlaine, che attraverso le loro angosciose e dolorose esperienze, erano riusciti a conferire alla lirica uno stile ed un taglio del tutto innovativi aprendo, in tal modo, nuovi sentieri alla poesia. L’irrazionalità, l’assurdo, l’ineffabile, e tutti quegli atteggiamenti iconoclasti e stravaganti così palesemente antitetici con la morale del tempo, erano il loro credo.     

Il simbolista Stéphane Mallarmé, fu consacrato tra il branco dei maledetti, mauve, da Verlaine.

Mallarmé, erede spirituale di Charles Baudelaire, aveva condotto un’esistenza estremamente borghese, colorata di quel grigiore, che si attaglia alla figura di un insegnante liceale di provincia. Fin qui tutto è nella norma; infatti questo non costituirebbe il cuore del problema, se non per la profonda dicotomia interiore dell’essere e dell’apparire che lo stesso Mallarmé avvertì e che, nonostante tutto, aveva vissuto altrettanto dolorosamente con tenace spirito stoico.

Mallarmé più giovane di diciannove anni di Baudelaire, non era mai stato in grado di uscire fuori da quella sua condizione di avvilente routine, come invece fu nella natura del suo padre spirituale, il parnassiano, dallo spirito velatamente dandy che, ebbro di viaggi esotici, di sole, di mare, di erotismo e sempre aperto a nuove esperienze, precipitò nel baratro delle droghe e dei paradisi artificiali al fine di esorcizzare il tema dello spleen, del tedioso e lento scorrere del tempo, quale simbolo della condizione esistenziale dell’uomo moderno. Padre spirituale del decadentismo e del simbolismo, Baudelaire assurse a nuova voce di rottura del vigente modello tradizionale apportando un arricchimento ulteriore alla poetica romantica, dalla quale, poi, egli stesso prese le distanze, con una variante ben definita: una lirica dal linguaggio sublime e musicale, popolata da sinestesie e corrispondenze segrete, severamente più intimistica e complessa, proprio come l’animo moderno esigeva; la quale come modello di indagine anteponeva l’essere nella sua interezza, la propria ragione d’essere, avulsa dal raziocinio e dal verosimile. Fu egli stesso, infatti, a parlare per la prima volta di modernismo. Un autentico de profundis, un – Io confesso – del proprio cuore messo a nudo.

(cultura-libriantichionline.com 19/05/2013)

 

Raffaele Cavazzoni
Data: 29-05-2013
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